La Law Society of England and Wales ha commissionato a Cert-UK una indagine sulla sicurezza dei dati conservati presso gli studi legali. L’indagine ha fornito come risultato un risultato impressionante: il 62% degli studi legali inglesi sono stati vittime di attacchi informatici ma solo il 35% aveva un piano di sicurezza per l’eventualità.
Tenendo conto che la confidenzialità è uno dei massimi valori che il cliente affida all’avvocato, l’evidenza che gli studi legali siano al settimo posto tra gli obiettivi preferiti dagli hackers (fonte Cisco Security Annual Report) è preoccupante, tanto più se si considera che questo dato si basa solo sulle denunce rese pubbliche e che certamente rappresentano la punta di un iceberg molto più grande.
L’impatto economico
Nella stessa ricerca si legge che l’ammontare dei furti subiti dagli studi legali nel 2016 arriva a 85 milioni di sterline, ma oltre al danno diretto, il costo sociale per la mancanza di sicurezza dei dati conservati dagli avvocati è immensamente più grande. Nei server degli studi si trovano infatti dati sensibili di numerosissimi clienti, che spesso sono il vero obiettivo degli hacker.
La cultura dell’insicurezza
La mancanza di una cultura della gestione del rischio negli avvocati e negli addetti degli studi ha poi, non da ultimo, un impatto sui premi assicurativi e, com’è evidente, sul livello di fiducia dei clienti.
Gli avvocati interpretano consapevolmente, a quanto pare, l’anello debole della catena (la maggioranza degli studi hanno riferito di «sentirsi troppo piccoli per subire attacchi»), mentre dovrebbero rassicurare i clienti anche sotto questo profilo, inserendo la sicurezza dei loro dati tra i punti di forza nella loro comunicazione.
Derubare gli studi del loro bene più importante, cioè della fiducia dei propri clienti, altrimenti, sarà per i malintenzionati, facile come bere un bicchier d’acqua.
Lewis Carrol, Alice in Wonderland