A cura di Remo Danovi
L’analisi della realtà attuale della professione forense è abbastanza impietosa: un numero molto elevato di avvocati, redditi dichiaratamente miserevoli o bassi, una formazione universitaria insufficiente, una coscienza di classe mancante, una colpevole disattenzione agli sviluppi e alle esigenze della clientela, una totale incomprensione del “senso” del mercato, una legislazione arcaica e inesistente. Ma anche una speranza e un obiettivo da raggiungere: adattare le innegabili capacità degli avvocati e le legittime aspettative di successo agli scenari che sono cambiati e che cambiano incessantemente!
Questo mi sembra il significato del volume, che non è soltanto la critica a una povertà di visuale, ma è soprattutto uno stimolo alla ricerca di una nuova identità e di un nuovo modello, che costituisce poi il legame indissolubile tra le generazioni e rappresenta un motivo di sicura crescita.
Alle vecchie generazioni l’Avvocatura è certamente debitrice del senso etico della professione, del primato dei valori, del dovere della difesa, della necessità di garantire l’applicazione delle leggi e di realizzare la giustizia, dell’impegno di tutelare i diritti e gli interessi della persona. Ed è in questa sintesi tra fedeltà verso la legge e fedeltà verso la parte assistita che si realizza ancor oggi la “missione” dell’avvocato (e ciò è scritto mirabilmente nel preambolo del nostro codice deontologico).
Ma, affermati i valori, di cui anche la società americana più progredita avverte sempre più spesso il richiamo, nulla vieta che il modo di operare possa essere diverso, in obbedienza non tanto al vuoto di un concetto che si riferisce alla “modernizzazione”, quanto ai reali cambiamenti che si sono determinati. Non è forse vero che oggi il diritto di stabilimento consente a tutti gli avvocati europei di esercitare nello spazio comunitario più allargato? E non è forse vero che oggi, con Internet, la localizzazione spazio/tempo assume un significato diverso, creando una vasta area di interessi che si attualizzano con semplici modalità di riferimento? E non è forse vero che l’esercizio individuale dell’attività è impossibile quando si tratti di affrontare temi di rilevante impatto economico, che richiedono approfondite specializzazioni e plurime competenze?
Sono domande con risposte obbligate, sicché torna utile la lettura di questo volume che coglie gli aspetti essenziali delle varie problematiche, nel sicuro intento di permettere punti di equilibrio tra opposte valutazioni e scelte.
Così, quando si parla di studio professionale contrapposto a impresa (nella felice sintesi: uno scoglio o una opportunità), non si può dimenticare che tutta la giurisprudenza comunitaria ha da tempo fissato il principio per cui è impresa “qualsiasi entità che esercita una attività economica”, cioè realizza uno scambio tra un servizio e un corrispettivo. Sicché (come abbiamo già rilevato in epoca remota: si veda il nostro scritto Le libere professioni e l’indagine conoscitiva dell’Autorità garante, in Corr. giur. 1995, 122, e nel volume La giustizia in parcheggio, Milano, 1996, 232 e 236), “se ci limitassimo a ribadire che il professionista non è un imprenditore e che le attività professionali non sono imprese e che infine gli organi professionali non sono associazioni di imprese”, avremmo formulato principi pacifici e veri, ma sterili, poiché essi non aiutano a comprendere i fenomeni né a risolverli, mentre “occorre entrare nel merito, come se dal proprio interno le professioni fossero chiamate a rielaborare i termini della loro presenza e del loro servizio nella società. E’ anche questo un modo per dimostrare che le professioni non sono giurisdizioni domestiche privilegianti interessi particolari, ma sono effettivamente inserite nel più ampio contesto ove si sviluppa la realtà sociale di ogni paese e il bisogno di ogni persona”.
Ma ancora: la prestazione che oggi viene specificatamente richiesta tende a costruire nuovi assetti economico-giuridici e non soltanto a difendere i diritti violati (è la consulenza che prevale sulla patologia del contenzioso), sicché l’avvocato deve affrontare una molteplicità di problemi, quali quelli che derivano dalla pluralità dei sistemi e delle norme giuridiche (a dispetto dell’idea di un’unica lex mercatoria), dalla diversità delle lingue, dagli intrecci fiscali, dalle procedure difformi e perfino dalle differenti culture. Né alcuno può pensare che si possa costruire una grande cattedrale con i propri deboli mezzi.
Insomma, occorre adeguare la struttura alla realtà, anche per colmare il divario di competitività che esiste con gli avvocati degli altri paesi.
Qui gli spunti che offre il volume sono molto precisi e originali (perfino nell’idea di contribuire alla nascita di una teoria generale sul marketing italiano, con tutte le necessarie indicazioni e prospettazioni). Ma su questi punti la visuale di un avvocato di vecchia generazione è meno nitida, ancorata com’è al concetto di riservatezza che ha guidato tutto il cammino professionale. Tuttavia … anche chi guarda dalla riva di un lago o del mare vede sempre l’orizzonte luminoso lontano, che è fatto di sfide e di conquiste. Come è sempre stato. Tocca quindi a ciascuno percorrere gli spazi aperti, nel migliore dei modi possibili, per arricchire le proprie esperienze e perfezionare la qualità dei servizi, per se stesso e per il futuro dell’Avvocatura.
REMO DANOVI
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