di Rosa Colucci
Cara Paola, cominciamo dalla fine. Qual è l’ultimo libro che hai letto?
«Nel corso dell’ultimo viaggio ho letto Cannibalismo in treno di Mark Twain. Un libro di racconti. Ne leggo spesso, sono della ‘misura giusta’ per i miei spostamenti in aereo. Di norma leggo più di un libro, uno prima di dormire (normalmente un romanzo o un giallo, l’ultimo è La ragazza sbagliata di Giampaolo Simi). Le letture di lavoro sono di solito in inglese, molte consumate su riviste e blog tematici su internet. In questo periodo ho riletto alcuni passaggi di The future of law di Richard Susskind, un amico mi ha fatto ricordare che lo avevo citato durante una relazione nel 2000 e mi è venuta voglia di riprenderlo. Quello che ho appena finito è Smart collaboration di Heidi Gardner, molto interessante per gli avvocati. Insegna a comprendere e gestire il lavoro di gruppo per trarre maggiore profitto dalla collaborazione smart».
Dove vivi attualmente e cosa ti ha portato lì?
«Vivo tra Milano e la Sardegna, a Calasetta, Isola di Sant’Antioco. Mio marito è nato lì, fa parte dell’enclave di origine genovese arrivata a Carloforte e Calasetta da Tabarka in Tunisia, è appunto un “tabarkino”. Tre anni fa abbiamo deciso che ci sarebbe piaciuto abitare nella vecchia casa del nonno in campagna, circondati dalla macchia mediterranea, con la vista del mare e così l’abbiamo sistemata e ci siamo trasferiti. Viaggio molto, a Milano mi fermo spesso per lavoro, la mia famiglia vive a Ravenna dove vado di tanto in tanto, ma i miei clienti sono sparsi per l’Italia. Dove vivo ora è un posto bellissimo, ho un armadio molto piccolo e un giardino molto grande, internet non è velocissimo, l’isola è collegata alla Sardegna con un ponte che rende l’aeroporto internazionale comodo da raggiungere».
Figli? «No».
Gatti? «Tre: Lampo, Missy e il piccolo Millo».
Lauree? «Una in Giurisprudenza all’Università di Bologna, quella sbagliata, dentro sono un architetto».
Cosa hai scritto sulla carta d’identità alla voce “professione”? «La riga è bianca».
C’è un avvenimento nella tua carriera che a un certo punto ti ha fatto “rovesciare il tavolo”?
«Ho rovesciato parecchi tavoli, in fondo mi piace. Direi che il più memorabile è quando ho deciso di dimettermi dal Comune di Ravenna nel 1994. Non c’erano spazi per me, nonostante fossi appena diventata procuratore e il Comune stesse approntando l’ufficio legale interno. Così decisi che non sarei rimasta, scrissi la lettera di dimissioni e scesi a protocollarla. Uscita dall’ufficio cominciai a fare l’avvocato. Gli altri cambiamenti sono stati molto più meditati, per quanto alla fine ‘tranchant’, come la decisione di lasciare lo studio legale dove lavoravo per trasferirmi a Milano (con gli auguri del mio anziano patrono), o la scelta di cancellarmi dall’albo degli avvocati».
Tu ora ti occupi più di avvocati che non dei clienti, vero? Spiegaci come.
«I miei clienti sono avvocati, studi legali, a volta associazioni e istituzioni forensi. Li affianco nella creazione di progetti strategici e di comunicazione, che nascono normalmente dalle più diverse esigenze. Quella che i miei clienti talvolta non confessano è il desiderio di aumentare il fatturato, ma altrettanto spesso a chiamarmi sono studi di successo, che, proprio per averne maturato la consapevolezza, vogliono gestirlo e canalizzarlo. Mi capitano studi che sono alla ricerca di una propria identità, magari smarrita a causa di un passaggio generazionale non correttamente gestito; altri che desiderano darsi una struttura, tanto dal punto di vista giuridico che organizzativo, disciplinando il sistema di condivisione dei compensi e il modello di governance; altri ancora che hanno bisogno di aiuto per scegliere e introdurre nuove procedure di lavoro o un software gestionale per affrontare le analisi del fatturato e della clientela».
Tutto questo è marketing?
«Marketing è organizzazione, in effetti. Acompagno gli studi nell’ orientamento della loro attività al mercato, nel posizionamento e nella cura dei clienti; questo passa, a volte, dal migliorare la propria immagine e visibilità, ad esempio creando il proprio sito e curando la propria reputazione su internet. I clienti dei miei clienti mi interessano in quanto sono oggetto di studio, spesso e volentieri li analizzo per capire il grado di soddisfazione rispetto all’attività del loro avvocato di fiducia o le ragioni del tramonto di un rapporto».
Come funzionano le consulenze?
«Lo schema è piuttosto semplice: al contatto segue un primo incontro orientativo, la preventivazione, la stesura del progetto e l’affiancamento nella realizzazione del progetto. Il mio personale impegno e quello dei professionisti che collaborano con me dipende molto dal tipo di progetto, dai suoi obiettivi e dal grado di autonomia che il cliente/avvocato riesce ad esprimere. Normalmente mi occupo solo dell’attività strategica, ma affianco lo studio nel lancio di quella operativa. Per esempio, progetto il nuovo sito e strutturo insieme al cliente la newsletter, ne predispongo il primo numero e poi insegno a realizzare i successivi. Se il cliente non ha risorse o tempo, troviamo chi potrà farlo per lui».
Un caso fra tanti?
«Uno molto recente e particolarmente interessante e innovativo è quello di Polis Avvocati, uno studio di Bari con oltre 30 avvocati che si è trasformato nella prima cooperativa tra avvocati d’Italia. L’ho affiancato in tutto il processo di creazione del modello di distribuzione interna del lavoro e dei compensi, che ha preceduto la trasformazione».
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