#comunicazione legale e social network
Il caso di DC Legal show
Ha fatto parlare di sé, negli ultimi mesi, il profilo Instagram di una coppia di avvocate di Torino, poi ridottasi ad una singola persona, che, con l’intenzione dichiarata di rendere informale e umanizzare la figura dell’avvocato, ha finito per mostrare di tutto tranne (con sporadiche eccezioni), che contenuti professionali dell’attività.
Le critiche mosse a questo profilo sono soprattutto indirizzate alla spregiudicatezza con la quale vengono mostrate le forme della affascinante professionista, o sottolineato il lato glamour del suo outfit, delle sue giornate e delle sue serate.
Oltre agli sgradevoli commenti negativi che compaiono nei thread dei post, la stessa avvocata dà atto di avere ricevuto sanzioni disciplinari per violazioni deontologiche a cui ha risposto per le rime, accusando l’Ordine degli avvocati di Torino di aver fatto trapelare la cosa.
Ma, a guardare con più attenzione, gli errori commessi nella gestione di questo profilo sono soprattutto altri: scarsa qualità dei video e dell’audio, improvvisazione e mancanza di una linea editoriale nella costruzione dello story-telling, ecletticità, per non dire confusione, tra gli argomenti selezionati che spaziano dal vino, alle feste, all’impiego del tempo libero.
Il profilo non dice molto delle qualità professionali dell’avvocata; non è chiaro a chi si rivolga, né perché un cliente dovrebbe sceglierla, né ancora, quale sia il valore aggiunto per un potenziale cliente portato dalle borse e dagli abiti che indossa, dall’assiduità con cui frequenta la palestra, dall’amenità delle località che frequenta.
Spontaneità e qualità dei contenuti spesso non stanno dalla stessa parte
Nella comunicazione, la spontaneità e la qualità dei contenuti non sempre si combinano, come dimostra l’esempio del recente scivolone commesso da uno studio legale vincitore di un premio [Clicca qui per leggere l’articolo su errori e orrori della comunicazione].
Per questa ragione aumenta il numero dei professionisti che si affidano agli esperti per la gestione dei profili, ma anche di quelli che, per paura di sbagliare, evitano con cura di comparire sui social network.
I più estroversi si mettono in mostra con la chiara intenzione di farsi notare, qualcuno ci riesce meglio di altri, ma l’errore più comune da parte degli avvocati che utilizzano i Social, è quello di non domandarsi quali siano gli interessi del proprio pubblico.
Da qui, inevitabilmente, si generano contenuti che non si notano per la loro qualità.
Il pubblico della comunicazione legale: a ognuno la sua audience
Il punto di partenza per la buona comunicazione soprattutto in un settore delicato e complesso come quello degli studi legali, è l’individuazione corretta dell’audience, cioè del pubblico a cui la comunicazione è indirizzata.
Questo pubblico dovrebbe essere formato dai clienti attuali, dei clienti potenziali e inevitabilmente invece comprende in maggioranza un gran numero di colleghi (che sarebbe meglio definire concorrenti). Per costruire l’audience è necessario un lavoro, a monte, di individuazione del target al quale, a sua volta, si arriva attraverso l’identificazione degli obiettivi strategici dello studio. [Clicca qui per leggere un articolo sugli obiettivi strategici dello studio]
Ogni professionista ha, o dovrebbe avere, una lista dei propri clienti e seguirne le attività sui social. Dovrebbe poi sapere sapere quali siano i suoi clienti ideali e trovare un modo per comunicare efficacemente anche a loro, ispirarsi ai concorrenti di cui si considera il posizionamento affine o ideale, e infine, accettare che i concorrenti traggano ispirazione dai propri contenuti.
La strategia di costruzione dell’audience in gergo si chiama lead generation, dovrebbe comportare di seguire per essere seguiti, apprezzare contenuti altrui, commentarli e proporre i propri. Non basta postare spesso e qualunque cosa, è necessaria una strategia, un minimo di dedizione e una certa quantità di tempo.
Alla base del piano editoriale ci sono le strategie di marketing che consentono di sfruttare a proprio vantaggio gli effetti della comunicazione. [Clicca qui per leggere un articolo sul piano editoriale]
La comunicazione e il prodotto dello studio legale
Lo scopo della comunicazione istituzionale per il professionista consiste nel costruire o rafforzare la sua reputazione o quella dello studio. La reputazione genera il “passa parola” che è, era e resta, la migliore leva di marketing per il professionista.
È corretto e legittimo cercare di suscitare interesse su di sé e sul proprio lavoro anche attraverso un linguaggio informale o ironico, argomenti inconsueti e contenuti multimediali (immagini, audio e video).
Per farlo, è necessario aprirsi a un approccio diretto, come il racconto (storytelling), articolato in prima persona, mostrare momenti extralavorativi, accennare a letture, passioni, sport amati o hobbies e procedere con grande attenzione.
La comunicazione professionale è per sua natura istituzionale.
Informale e istituzionale possono convivere, ma per stare insieme hanno bisogno di un elemento determinante: l’eleganza.
Chi eroga un servizio fiduciario come quello forense, sa che Il prodotto del suo lavoro non può essere promosso come se si trattasse di un prodotto fungibile, di una “cosa”, ma che valore aggiunto risiede nelle qualità professionali e personali di chi lo produce.
Per alcuni settori in particolare, l’attività dell’avvocato coincide con azioni la cui utilità sociale non è facile da comprendere -per fare un esempio su tutti pensiamo alla difesa del colpevole di reati odiosi- ma questo non significa che l’avvocato non possa comunicare correttamente per promuovere la propria attività.
La conseguenza più ovvia è che lo studio legale, comunicando,
non pubblicizzi il prodotto, ma si adoperi per rafforzare
la reputazione dei professionisti
L’immagine che l’avvocato vuol dare di sé
Perfettamente comprensibile dunque che un avvocato, specie se giovane e donna, cerchi di costruire un’immagine moderna, efficace, grintosa e di allontanarsi da un modello di legale a cui si sente di non appartenere.
Nel discostarsi elegantemente da una comunicazione istituzionale troppo classica però, bisogna fare largo uso della dote, piuttosto rara, della misura.
Non ci sono scuole nella comunicazione legale che definiscano cosa sia elegante e cosa no, conviene quindi attenersi ad alcune regole generali.
Essere l’avvocato che si dice di essere
L’obiettivo finale di qualunque piano di comunicazione legale è quello di dare un’immagine del professionista rassicurante, competente, solida, anche se umana, ironica e raggiungibile.
Meglio se questa immagine appartiene e corrisponde al professionista anche quando assiste i clienti fuori o dentro il Tribunale.
Evitare forzature
Ogni qualità non necessaria a costruire la convinzione dell’audience che il professionista sia rassicurante, competente e solido, anche se umano, ironico e raggiungibile, è potenzialmente un boomerang.
Non c’è bisogno che una donna sia anche seducente o si mostri seducente perché questa qualità non è tra quelle necessarie alla comunicazione professionale.
Allo stesso modo non dovrà essere necessariamente sottolineata la muscolatura o il possesso di un patentino da maestro di sci dell’avvocato che ama lo sport.
Seduttività e forma fisica possono trasparire, emergere, farsi notare, ma non sono il punto di partenza della comunicazione legale, che è la qualità dell’attività professionale basata sulla competenza del professionista e sulla sua affidabilità.
Ricordarsi cosa cerca il lettore
I contenuti comunicati, alla fine, dovranno sempre ricondursi all’attività dell’avvocato cui è richiesto di conoscere la legge, di saper maneggiare le procedure, di difendere i diritti del proprio cliente, di avere sani principi giuridici, profonde conoscenze, padronanza del mercato a cui appartiene.
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