Chi di voi non ha visto e amato la serie americana Suits arrivata ora all’ottava stagione, alzi la mano, anzi no, corra a guardarla e rigorosamente in lingua originale!
Il titolo di questa appassionante serie gioca sui due significati della parola suit, “abito maschile” e “causa” nel senso di processo intentato (“law” suit). L’azione è ambientata in uno studio di corporate lawyers di New York e mostra lo svolgersi dell’attività in quella che il protagonista definisce «THE Firm, in THE City».
Per gli appassionati del genere (e del legal marketing), la serie, così come alcuni altri grandi classici court drama, è un’antologia di buone e cattive pratiche di marketing e organizzazione degli studi.
Gli aspetti interessanti e significativi riguardano le dinamiche e i rapporti gerarchici tra i diversi ruoli in campo, name partner, managing partner, senior partner e via dicendo, le alternanze e gli incidenti di carriera, le relazioni spesso brusche con gli studi concorrenti, le questioni deontologiche e la sottile linea che separa i comportamenti spregiudicati ma ammissibili da quelli sanzionati.
Anche se gli Stati Uniti da questo punto di vista sono un pianeta di un’altra galassia, ogni puntata è fonte di spunti interessanti diventati più attuali ora che anche gli studi italiani possono costituirsi in società di capitali e come tali fondersi e separarsi in maniera più naturale di quanto non accadesse in passato.
Come dice Harvey Specter (per i pochi che non lo sanno, è il fascinoso protagonista di Suits): «I do not have dreams, I have goals», poca filosofia dunque, ma molti piani, progetti e azioni conseguenti. Un campione di marketing strategico è dunque chi setta correttamente i propri obiettivi e traccia la strada per raggiungerli.
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